Michael Gordon Oldfield
è nato il 15 Maggio 1953 a Reading, nel Berkshire, Inghilterra,
da Raymond Henry Oldfield, medico, e da Maureen Bernadine Liston. Mike
è il più piccolo di tre fratelli; prima di lui ci sono
la sorella Sally, nata nel 1947 ed il fratello Terry,
nato nel 1949. La sua passione per la musica comincia a manifestarsi
già all'età di sette anni quando, dopo aver visto in TV
il virtuoso Bert Weedon, convince il padre a comprargli una chitarra.
La musica diventa ben presto il suo passatempo preferito, nonché
il rifugio che gli permette di estraniarsi da una situazione familiare
infelice, con una madre alcolizzata e afflitta da crisi depressive.
Il difficile rapporto con la madre contribuisce in maniera schiacciante
alla creazione di una personalità introversa, che causerà
a Mike Oldfied non pochi problemi nella prima parte della sua carriera.
Abbandonate prima
la famiglia e poi la scuola, Oldfield comincia a suonare nei club e
dà vita al duo folk Sallyangie con la sorella
Sally; la coppia inciderà due 45 giri ("Lady Go
Lightly" e "Two Ships") e un
album ("Children Of The Sun") firmando un
contratto con Transatlantic Records, che ebbe scarso
successo e causò la fine del progetto. Dopo un anno Mike e Sally
si separarono andando ogni uno per la sua strada e Mike formò
una rock band a 4 elementi nella quale suonava anche suo fratello Terry
al flauto. Il gruppo si chiamava Barefoot (Piede Nudo)
dato che il gruppo si esibiva a piedi nudi. Mike suonava una Fender
Telecaster appartenuta a Marc Bolan. Il gruppo, formato nel febbraio
del 1970, non era comunque destinato a durare. Mike arrivò anche
a dire che la propria band non era all'altezza. Ebbero un live show,
poco tempo dopo, e lui rincarò la dose dichiarando al termine
del concerto: "Con questa performance così disastrosa,
abbiamo fatto le valige!". l giorno dopo la band si sciolse.
Ben più importanza
ha invece il suo ingresso nel 1969 come bassista-chitarrista nella band
The Whole World, formata da Kevin Ayers,
in fuga dai Soft Machine, in piena era Canterbury: Mike incide al suo
fianco gli studio-album "Shooting At The Moon",
"Whatevershebringswesing", "Confessions
Of Dr. Dream And Other Stories" e il live "June
1, 1974" (ricordiamo anche le raccolte "The
Kevin Ayers Collection" e "Odd Ditties"),
prima dello scioglimento della band avvenuto nel 1971. Durante la permanenza
nella band Oldifield stringe amicizia col tastierista e direttore d'orchestra
David Bedford (che avrà un ruolo abbastanza
importante nel suo primo scorcio di carriera), viene a contatto con
realtà musicali atipiche come i Centipede di Keith Tippett (pianista
collaboratore ad esempio dei King Crimson), vede la sua fama di chitarrista
crescere e, soprattutto, comincia a pensare a un suo album solista.
Della band facevano parte anche il sassofonista jazz Lol Coxhill,
il compositore avant-garde David Bedford all'organo,
Mick Fincher alla batteria ed ovviamente Mike
Oldfield al basso. L'ultima apparizione dal vivo della band
fu al "The Temple" di Londra il 10 luglio 1971. Dopo il concerto
Kevin sciolse il gruppo. Il contributo artistico di Mike alla band fu
davvero speciale.
Un avvenimento cruciale
per Oldfield è dietro l'angolo: armeggiando con un registratore
prestatogli da Ayers, coprendo la testina di cancellazione, riesce a
effettuare delle sovraincisioni che gli permetteranno di fissare meglio
le idee per la sua opera prima; la contemporanea permanenza presso gli
studi Abbey Road gli consente inoltre di sfruttare
un ricco arsenale di strumenti per arricchire le scarne tracce che aveva
cominciato a registrare. Pian piano una demo prende finalmente forma
– un progetto che, nel corso della lavorazione, assumerà
diversi nomi come "Breakfast In Bed" e "Opus
One", prima del definitivo "Tubular Bells"
- e Mike lo propone alle varie case discografiche, ottenendo sempre
rifiuti, causati dalla dubbia commercialità di un album che presenta
svariati minuti di musica atipica e interamente strumentale.
Impossibilitato
a registrare il suo lavoro, Oldfield si guadagna da vivere come può:
suonando la chitarra per il musical Hair,
il mandolino per il musical Some Like It Hot (arrangiamento di David Bedford)
e il basso per il cantante soul Arthur Lewis. Ed ecco il colpo
di fortuna: al seguito di Lewis, Oldfield è invitato per effettuare
alcune registrazioni presso lo studio The Manor, di
proprietà di Richard Branson (venditore di dischi
per corrispondenza con la sua Virgin Mail Order Record Company)
e costruito sotto consiglio degli ingegneri del suono Tom Newman
e Simon Heyworth. L'amichevole atmosfera che si respira
nello studio smuove il timidissimo Oldfield, che trova la forza di proporre
il suo prezioso nastro a Newman e Heyworth. I due rimangono molto colpiti
dal suo ascolto e decidono di convincere Branson a pubblicare il disco
sul quale Oldfield continua a lavorare in privato, ma che deve restare
ancora "congelato" perché Branson (pur essendo anch'egli
colpito dal lavoro) non ha né i soldi né l'esperienza
necessari per la sua pubblicazione.
Con l'entrata in
scena di Simon Draper, un nuovo socio con cui aveva
deciso di fondare un'etichetta discografica, Branson si ricorda di Oldfield
e lo contatta, anche se in cuor suo è convinto che qualche altra
casa discografica gli avesse già soffiato l'affare; invece per
sua fortuna Oldfield è impegnato solamente con Hair.
Il The Manor viene finalmente attrezzato con tutti gli strumenti necessari
e messo a disposizione di Oldfield per una settimana, tempo in cui il
musicista inglese (col prezioso aiuto di Newman e Heyworth) riesce a
realizzare la prima facciata dell'album (il resto del lavoro verrà
completato in successive sessioni di registrazione), per un totale di
più di venti strumenti diversi suonati da Oldfield (con pochi
aiuti esterni, ad esempio per batteria e cori), più di duemila
sovraincisioni effettuate (il nastro finale è talmente usurato
che rischia di rompersi) e un tasso di paranoia dei tre altissimo (fu
un'impresa titanica ricordarsi il ruolo delle varie tracce man mano
che le sovraincisioni erano effettuate). Assieme a Tubular Bells viene
registrata anche una session con Elkie Brooks, intitolata "The
Manor Live".
Ricorda Mike: "Durante
il periodo con i Whole World avevo registrato una demo-tape di 50 minuti
ma non avevo trovato nessuno interessato alla cosa. Il solo David Bedford,
anche lui nella banda di Kevin Ayers, sembrava l'unico disposto ad offrirmi
un aiuto. L'occasione di lavorare intorno a quel nastro mi venne offerta
da Richard Branson che stava impiantando i primi studi della Virgin
Records al Castello di Manor. Branson mi invitò l'anno seguente,
a lavori ultimati, a Manor e nel settembre del '72 iniziai a registrare
"Tubular Bells". Ma non godevo di molto credito. Tanto che,
dopo una settimana di lavoro pieno, potei usufruire dello studio di
registrazione solo durante le pause. Vi ho suonato tutte le notti fino
alla primavera dell'anno seguente, accumulando decine e decine di sovraincisioni
e lavorando unicamente con Tom Newman, il tecnico del suono. Con lui
decisi di introdurre Vivian Stanshall come "maestro di cerimonie"
per annunciare l'entrata di ogni singolo strumento nella side one. Vivian
ci reputò subito dei pazzi, ed accettò di partecipare
all'album e di contribuirvi con una versione surreale di un traditional
"The Sailor's Hornpipe", che io stesso avevo arrangiato. Vivian
piazzò i microfoni nelle varie stanze e corridoi del Manor, collegandoli
ad una serie di registratori che venivano attivati senza seguire un
particolare procedimento. Registrammo il pezzo una mattina presto, vagando
per i vari ambienti come un trio di ubriachi; Vivian sembrava il pifferaio
di Hameli... Il risultato venne considerato da Branson troppo bizzarro
per far parte del disco di debutto di uno sconosciuto e venne rimpiazzato
con un brano strumentale. Poi, in un secondo tempo, abbiamo recuperato
il vecchio nastro di Vivian e l'abbiamo inserito come finale della versione
remissata di "Tubular Bells", quella che si può ascoltare
su "Boxed". Anche la versione di "Hergest Ridge"
su "Boxed" è sostanzialmente cambiata. Per certi aspetti
molto più di "Tubular Bells". Due anni dopo averla
scritta e registrata, ho sentito il bisogno di riprenderla in mano e
di modificarla. Per questo ho lavorato per alcune settimane nello studio
di registrazione a 24 piste della mia casa nel Gloucestershire. Ero
ossessionato dal fatto che la gente potesse trovare le armonie di "Hergest
Ridge" troppo ripetitive. Allora ho attenuato gli interventi strumentali
meno riusciti e, in alcuni casi come per le snare-drums, li ho cancellati
del tutto. Sulla side-two, ad esempio, ho dato alle voci un risalto
maggiore ed ho scartato una buona parte degli interventi di chitarra.
Ho cercato anche di perfezionare le singole basi ritmiche creando una
specie di antecedente all'inizio della seconda parte di "Ommadawn".
Per "Ommadawn", ma anche per il seguente "Incantations",
mi sono ispirato alla musica elettronica minimale di Terry Riley e di
David Bedford e alla musica folk irlandese, greca, africana e dell'est
Europa. Per questo motivo, in "Ommadawn", accanto a 62 sovraincisioni
di chitarra, ho voluto inserire le uillean pipes di Paddy Moloney dei
Chieftains, le percussioni africane dei Jabula, un bouzouki elettronico,
un ricchissimo numero di sintetizzatori e l'arpa, che ho imparato a
suonare proprio per quell'occasione. Una moltitudine di strumenti tutti
delicatamente e razionamente missati tra loro. Una grande complessità
al servizio di una soave semplicità."
Completate le registrazioni,
Branson e Draper si recano al Midam di Cannes (la fiera dell'industria
e del commercio musicale) per proporle ai dirigenti di svariate case
discografiche, i quali si mostrano interessati solamente al trascurabile
"The Manor Live", ignorando totalmente la ben più meritevole
suite. Disgustati dalla situazione, i due si rendono conto che l'unico
modo per far vedere la luce al disco è quello di pubblicarlo
in proprio.
Tubular Bells (23 maggio 1973), ispirata al Bolero di Ravel, diviene così la prima
pubblicazione della neonata label Virgin (numero di serie V2001), acclamata
dai critici (seppur non inquadrabile in nessun genere) per il suo carattere
rivoluzionario è uno straordinario successo di pubblico, dapprima
solo inglese (primo posto in classifica per 15 settimane) e poi anche
europeo, complice anche l'inclusione dell'intro del disco nella colonna
sonora del film "L'Esorcista". Tubular Bells
resta tuttora il disco più venduto dell'intero catalogo Virgin,
nonostante la presenza in tale etichetta di altri colossi come Genesis,
Peter Gabriel o Simple Minds.
Da qui comincia
la favola di Oldfield. Un successo meritato per un disco complesso ma
non di difficile ascolto, in cui il suo creatore ha sempre creduto ciecamente:
un susseguirsi di frammenti musicali, creati dalla sovrapposizione di
strumenti suonati perlopiù dallo stesso musicista inglese, alcuni
entrati di diritto nella storia della musica. Su tutti, il già
citato tema d'apertura, oppure la conclusione della prima parte, ove
il maestro di cerimonie Viv Stanshall annuncia l'ingresso
dei vari strumenti, i quali si vanno via via a sovrapporre e a preparare
il terreno per l'ingresso trionfale delle Campane Tubolari, che senza
una vera e propria soluzione di continuità costituiscono circa
50 minuti (divisi in due parti) di musica travolgente, evocativa e ricca
di cambi di umori. Significativa (e per quei tempi assolutamente inusuale)
l'assenza per quasi tutto il disco di batteria e di parti cantate, presenti
solo in uno spezzone della seconda parte denominato "The
Piltdown Man Section", dove Oldfield, dopo essersi scolato
mezza bottiglia di whisky, esterna tutta la sua frustrazione al mondo
intero con i suoi grugniti da uomo delle caverne. Scherzosa è
anche la conclusione dell'opera, affidata al traditional "The
Sailor's Hornpipe" (per intenderci, la sigla dei cartoon
di "Braccio Di Ferro").
Opera geniale, ponte
tra il progressive rock e la new age di due decenni
dopo, Tubular Bells è un album che non deve
mancare in nessuna CD-teca che si rispetti.
Oldfield non era preparato a quel successo che tanto aveva
desiderato: lo stress post-registrazione
e il suicidio della madre lo portano, in preda a allucinazioni e attacchi
di panico, a rifugiarsi nell'alcool e nell'LSD. In questo stato abbastanza
precario, e sotto le continue pressioni di Branson che voleva sfruttare
la scia del successo del precedente disco (e quindi pretendeva un nuovo
album in tempi brevi), Oldfield comincia a lavorare al successore di
Tubular Bells. Nel frattempo, c'è anche la collaborazione con
Robert Wyatt per il suo capolavoro, "Rock
Bottom" (1974), in cui Oldfield suona la chitarra da par
suo.
Subito dopo la realizzazione dell'album Mike dichiara:
"E' stato un modo per nascondermi dalla realtà. Avevo così tanta paura della vita,
delle persone, di me stesso, di esistere nell'universo. L'unica cosa che avesse
un senso per me era il posto che avevo creato per me nel mio mondo di musica...
la musica era diventata così importante per me, che dall'età di 8 anni fino a quando ho composto
Tubular Bells non ho fatto altro che scrivere musica, tenendo quaderni, componendo cose,
e Tubular Bells è una combinazione dell'intera mia infanzia e adolescenza raccontata con la musica, musica, musica."
In Hergest Ridge (1974), i tratti distintivi del suo predecessore non
vanno persi: suite divisa in due parti (che prende il nome dalle alture
situate in prossimità della sua nuova casa), la consueta grande
quantità di strumenti suonati dal nostro, assenza di batteria,
voci usate come uno strumento, e così via. Il sound di Hergest
Ridge è meno "misterioso" rispetto al predecessore,
e Oldfield è molto bravo a evocare con queste nuove composizioni
il verde delle praterie inglesi. Il disco si rivela molto gradevole
da ascoltare, ma nel contempo sono molto rare le situazioni in cui riesce
a sorprendere l'ascoltatore (una di esse è senza dubbio la sezione
centrale della seconda parte, in cui, sebbene un po' troppo tirato per
le lunghe, troviamo un assalto sonoro di indubbio fascino, condotto
da novanta chitarre sovraincise).
E' comunque di nuovo successo, a dimostrare che Mike Oldfield non è un fenomeno passeggero.
Il 1975 vede l'uscita di due lavori di Oldfield: per primo abbiamo la versione orchestrale
di Tubular Bells (ad opera della Royal Philarmonic Orchestra,
con arrangiamenti e conduzione ad opera di David Bedford), dove l'unico
strumento suonato da Oldfield è la chitarra, e poi il suo terzo
album vero e proprio, dallo strano titolo di Ommadawn
(una parola senza senso, che più o meno significa "lo stupido"
in gaelico). Nel disco è riproposto l'ormai usuale schema della
suite strumentale divisa in due parti, però qualche variazione
comincia ad affiorare: l'arpa assume spesso un ruolo di primo piano
(in particolare nella sezione introduttiva, che rivaleggia per bellezza
con quella di Tubular Bells), cominciano a manifestarsi influenze celtiche
(ospite Paddy Moloney dei Chieftains), sono presenti
le percussioni africane ad opera dei Jabula e, a conclusione
dell'opera, troviamo un ottimo pezzo cantato ("On Horseback").
Più variegato di Hergest Ridge e meno frammentario di Tubular
Bells, Ommadawn è uno dei punti più alti della produzione
Oldfieldiana.
Oldfield farà poi uscire il singolo natalizio "In Dulci Jubilo". Intanto, il suo carattere chiuso ha il sopravvento e lo porta a ridurre al minimo le interviste e a non esibirsi affatto dal vivo.
Il 1976 vede l'uscita di Boxed, cofanetto con inediti che raccoglie i primi
tre album remixati in versione quadrifonica. Seguono il singolo natalizio
"Portsmouth" di buon successo; il ritorno
al live nella rappresentazione di "The Odyssey"
di Bedford e due singoli di scarso successo: l'ouverture del "Guglielmo
Tell" di Rossini e un traditional inglese, "The
Cuckoo Song".
In pratica, quello
che stava facendo Mike era ricaricare le sue "batterie", affidandosi
a Exegesis, una terapia che consente di affrontare la proprie paure
e potenziare i lati più positivi della propria personalità.
Parallelamente alla terapia, Oldfield si dedica alla composizione del
nuovo disco Incantations (1977), un doppio album che
propone un'unica suite divisa in quattro parti ove il nostro, strumentalmente
parlando, non assume quel ruolo di primo piano avuto negli album precedenti,
preferendo utilizzare soprattutto archi, flauti, vibrafono e cori ad
opera di ospiti. Compositivamente l'album è ad altissimi livelli
e si differenzia dai precedenti, oltre che per le sonorità, anche
per l'ampio uso di tempi dispari (caratteristica abbastanza inusuale
per Oldfield); la sua ampia durata purtroppo non lascia l'album privo
di tempi morti, ma fortunatamente tali momenti sono piuttosto rari e
comunque ci si passa volentieri sopra di fronte ad esempio alla meravigliosa
"Part I" (dove l'arte Oldfieldiana quasi
raggiunge la perfezione assoluta, e dove le percussioni africane dei
Jabula creano un tappeto ritmico ineguagliabile) oppure di fronte al
finale della "Part IV", pura magia tradotta
in musica. Ospite speciale è Maddy Prior, vocalist
degli Steeleye Span, che è protagonista di un (troppo, troppo
lungo) intervento vocale nella seconda parte, ove vengono cantati versi
tratti dal poema di Longfellow "Song Of Hiawatha").
Purtroppo Incantations,
nonostante la sua stupefacente qualità, ha l'unico difetto di
essere pubblicato in piena esplosione punk; pertanto viene denigrato
da molti come un'opera inutilmente conservatrice, ottenendo un successo
molto inferiore ai precedenti.
Oldfield ormai era
uscito dalla sua crisi personale: rilascia fiumi di interviste, incide
un bel singolo di matrice "disco" ("Guilty"),
si concede un matrimonio-lampo con Diana Fuller, figlia
del leader di Exegesis (dopo un mese i due erano già separati),
e soprattutto si lancia in un grandioso tour mondiale, con al seguito
una truppa di circa un centinaio di persone tra musicisti e tecnici.
Nonostante i "tutto esaurito" in quasi tutte le tappe, il
tour si rivela fallimentare dal punto di vista economico. Così,
per recuperare qualche soldo, Oldfield pubblica l'ottimo doppio live
Exposed (contenente Incantations, Tubular Bells e Guilty)
e dopo qualche mese il nuovo album da studio, Platinum
(1979).
E' indubbiamente un disco di rottura col passato, che mostra la volontà
di Oldfield di rinnovarsi e di non addentrarsi più in complessi
lavori strumentali (una formula che aveva cominciato a mostrare la corda,
commercialmente parlando). Per la prima volta, troviamo la struttura
suite + pezzi brevi che ritroveremo anche in molti degli album successivi.
La suite (nonché title-track) è il capolavoro
del disco: orecchiabilissima, trascinante, nonché molto, molto
più facilmente assimilabile per l'ascoltatore medio rispetto
alle precedenti composizioni e con tanto di sezione fiati e efficaci
arrangiamenti corali. Notevolmente inferiore qualitativamente è
la seconda facciata: buone tracce sono l'atmosferica "Woodhenge"
(dove è il vibrafono di Pierre Moerlen dei Gong
a dominare) e la tirata "Punkadiddle" (un
must per le esibizioni dal vivo), mentre potevano essere tranquillamente
escluse dal disco la melensa "Into Wonderland"
(curiosità: la maggior parte dei CD in circolazione riportano
questa track come "Sally", un pezzo dedicato
da Mike alla sua nuova fidanzata che fu rimosso – forse per la
sua scarsa qualità – all'ultimo momento dalla scaletta
del disco) e la cover di "I Got Rhythm" di
Gershwin: il frizzante pezzo che siamo abituati ad ascoltare di solito,
viene inspiegabilmente stravolto e trasformato in una sdolcinata ballad,
con scarsi risultati.
Sebbene criticato
per la sua commercialità e per la semplicità di fondo
che portò molti ad accusare Oldfield di involuzione, Platinum
resta un disco meritevole di attenzione e molto indicato per chi si
addentra per la prima volta nel mondo Oldfieldiano.
Riguardante Platinum Oldfield dichiara: "Ho sempre
immaginato la chitarra come una sorta di creatura musicale parlante...
non ci sono molte persone al mondo che possono far parlare una chitarra.
La differenza tra me e le persone che nella loro musica citano altri artisti è...
che io cito me stesso. Ecco perché ho intitolato quest'album Platinum,
in parte per scherzare - ma anche perché a 'Mike Oldfield piace il [disco di] platino'".
A Platinum, succede
un singolo natalizio, "Blue Peter", un nuovo
tour con formazione estremamente ridotta e il nuovo QE2
(Queen Elizabeth 2nd), un disco di pura transizione che funziona a intermittenza
(malgrado la presenza di musicisti come Phil Collins
e Maggie Reilly, che conosceremo meglio nei prossimi
dischi), dove Oldfield mette da parte la sua consueta vena sperimentatrice,
e che appare come una mera (e fiacca) prosecuzione del precedente Platinum.
Quest'ultimo particolare si nota soprattutto nei due buoni pezzi iniziali,
"Taurus I" e "Sheba",
caratterizzati anche da un largo (e inedito per Mike) uso del vocoder;
si prosegue con "Conflict", discreto frullato
di Bach (!) percussioni, chitarre distorte, influenze folk. La trascurabile
"Arrival" (Abba) è la prima cover
del disco, mentre decisamente migliore si rivela essere l'altra rivisitazione,
"Wonderful Land" degli Shadows (gruppo molto
amato da Oldfield nella sua adolescenza). Reminescenze di Platinum affiorano
anche durante l'ascolto della discreta "Mirage",
con il suo impetuoso vibrafono, mentre decisamente piatte sono le atmosfere
bucoliche della title-track. Ordinarie, infine, le conclusive
"Celt" e "Molly".
In sintesi, un disco non malvagio ma comunque privo di quei guizzi a
cui il nostro ci aveva abituato in precedenza. Forte del successo dell'album,
comunque, Oldfield passa buona parte del 1981 in tour (festeggiando
anche la decimilionesima copia di Tubular Bells venduta) e preparando
il nuovo disco.
In questo periodo Mike dichiara: "Io in realtà non mi siedo e dico:
'Bene, ora inizio a comporre qualcosa.' Mi piace suonare le cose. Suono il pianoforte,
oppure la chitarra, improvvisando sempre. Non credo che suonerei mai qualcosa che non mi piace.
Mentre suono, se trovo qualcosa che penso sia bello, lo suono di nuovo, e se mi sembra
sufficientemente buono lo registro su nastro. Dopo penserò a cosa mi potrà servire.
Una cosa tira l'altra e alla fine trovo un altro pezzo, come nella costruzione di un
edificio, metto mattone su mattone, finché non è tutto finito."
Five Miles Out (1982) è un lavoro dalla struttura molto simile
a Platinum, vale a dire una suite sul primo lato e pezzi più
brevi sul secondo. Si tratta di un disco con pochissimi momenti di stanca,
caratterizzato (come l'album precedente) da un suono "da band",
con l'usuale certosino lavoro di sovraincisioni di Oldfield posto un
po' in secondo piano. In apertura troviamo il secondo capitolo della
trilogia di "Taurus", ed è subito magia: un continuo
susseguirsi di riuscitissimi temi (affidati di volta in volta alla chitarra
di Oldfield, alle uillean pipes dell'ospite Paddy Moloney
e alle delicate vocals della fantastica Maggie Reilly)
che mantengono sempre viva l'attenzione dell'ascoltatore per quasi 25
minuti. Si procede con "Family Man", un'ottima
pop-song cantata dalla Reilly, che come singolo inizialmente non fu
un grande successo, ma l'anno dopo la cover version realizzata da Hall
& Oates divenne un hit da top-ten in America. Terzo brano
del disco è "Orabidoo", una mini-suite
ove si susseguono una dolcissima intro di vibrafono, un tema al vocoder
su un robusto tappeto percussivo (piacevole all'inizio, ma che diventa
subito stancante) e fughe tastieristiche d'effetto, prima di un finale
molto pacato. Concludono il disco, sempre ad alti livelli, "Mount
Teidi", brano strumentale dalla bellezza disarmante dominato
da splendidi ricami di synth, e la title-track, un
brano di breve durata (ispirato da un incidente aereo vissuto in prima
persona da Oldfield stesso) che riprende alcune linee melodiche già
ascoltate su "Taurus II" arricchendole con efficaci intrecci
vocali (all'occorrenza filtrati dal vocoder) tra la Reilly e Oldfield
stesso. Disco consigliatissimo, che ebbe il giusto successo e portò
nuovamente Mike in giro per il mondo in tour.
Oldfield, riguardo a quest'album dice: "Per scrivere il testo
di una canzone devi avere qualcosa da dire. Beh, questa volta ho avuto qualcosa
da dire sugli aerei. L'album non parla d'altro. Ogni volta che salgo su un piccolo aereo
qualcosa di terribile succede. Un motore si arresta, si va dentro un temporale
o tempesta di neve, o siamo circondati dalla nebbia."
Il successivo Crises
(1983) è un altro bel frutto della rinnovata vena creativa di
Oldfield: un ottimo compromesso tra qualità e commercialità,
aspetto che non mancò di suscitare forti critiche da parte della
stampa del settore. La struttura dell'album è invariata rispetto
al precedente: suite + brani brevi. La suite è la title-track:
un pezzo perlopiù strumentale (tranne qualche sporadico intervento
cantato ad opera dello stesso Oldfield), sempre su altissimi livelli
compositivi, dove i synth di Oldfield, innamoratosi in quel
periodo del Fairlight, una potentissima workstation digitale, e il terremotante
drumming del veterano Simon Phillips (già
con Who, Toto e tanti altri) creano una miscela sonora esplosiva. Anche
i pezzi brevi sono tutti di ottimo livello: si tratta di quattro brani
cantati (da tre diversi vocalist) e uno strumentale. Si parte con il
celeberrimo hit-single "Moonlight Shadow",
cantato da Maggie Reilly, una delle migliori pop-song
di tutti i tempi, la cui indubbia orecchiabilità si sposa con
un'esaltante prestazione chitarristica di Oldfield, autore anche di
un ottimo arrangiamento (geniale l'uso dell'eco sulla voce). L'altrettanto
angelica (nonché storica) voce di Jon Anderson
degli Yes è chiamata a interpretare il successivo "In
High Places". Torna la Reilly per "Foreign
Affair", altro celebre hit-single, forse un po'
monocorde ma dall'arrangiamento geniale. Penultimo brano è lo
strumentale spagnoleggiante "Taurus III",
in cui Oldfield può sia sfoderare tutta la sua maestria chitarristica,
sia divertirsi a sovraincidere tracce su tracce di chitarra, fino a
creare in alcuni frangenti del brano un vero e proprio "muro di
suono", che metterà a dura prova il vostro impianto stereo.
Chiude il disco l'aspra "Shadow On The Wall",
ennesimo hit-single interpretato stavolta da Roger
Chapman (Family), ove le sue arcigne vocals vanno
a braccetto con altrettanto dure schitarrate.
All'uscita del disco
segue un mini-tour, conclusosi con la celebrazione del decimo compleanno
di Tubular Bells.
Anche il successore
del fortunatissimo Crises, vale a dire Discovery (1984),
è un buon album, che si attiene allo standard qualitativo dell'Oldfield
a cavallo tra orecchiabilità e sperimentazione, e che presenta
la consueta attitudine ad accontentare sia i fan di vecchia data con
la consueta suite (posta stavolta in chiusura del disco), sia il pubblico
attratto dalle sue produzioni pop. Abbastanza palese è il tentativo
di sfruttare la scia del successo del precedente album. Degni di nota
lo scarso numero di musicisti presenti (oltre al nostro factotum troviamo
soltanto Simon Phillips alla batteria e i vocalist
Maggie Reilly e Barry Palmer) e la
spiccata vena pop che caratterizza un po' tutto il disco. Il magico
timbro della Reilly è utilizzato in tre pezzi: la stupenda "To
France" (il cui magistrale riff portante è utilizzato
anche nell'altrettanto valida "Talk About Your Life")
e la più movimentata "Crystal Gazing".
Il potente timbro di Palmer ben si adatta invece a "Poison
Arrows" (ascoltare il muro di chitarre innalzato da Oldfield
a metà pezzo), alla title-track (dalla trascinante linea
vocale e con un guitar-solo da antologia) e alla ballad "Saved
By A Bell" (forse l'unico pezzo sottotono del disco).
Sentiremo duettare i due cantanti solo nell'ottimo "Tricks
Of The Light", il brano più tirato del disco. Ottava
e ultima traccia è la gioiosa "The Lake",
l'immancabile suite strumentale, stavolta molto più breve del
solito (12 minuti), ma ricca delle consuete suggestioni. In definitiva,
Discovery rappresenta l'apice della creatività Oldfieldiana negli
anni Ottanta, prima di una fase creativa discendente.
Il secondo disco
pubblicato da Oldfield nel 1984, The Killing Fields,
è la colonna sonora dell'omonimo film, uscito in Italia col nome
di "Urla dal silenzio". Pur non ai livelli
delle vette della produzione del musicista inglese, il disco non è
malvagio e mostra Oldfield alle prese con partiture perlopiù
orchestrali (mettendo molto da parte chitarre e synth), ma
è afflitto dallo stesso problema che colpisce gran parte delle
altre soundtrack in circolazione: una volta slegati dalle immagini
che dovrebbero accompagnare, gran parte dei pezzi perdono di forza e
conducono a un ascolto svogliato. Qualche pezzo degno di nota comunque
c'è: il sound quasi industrial di "Evacuation",
le intense "Pran's Theme 2" e "Pran's
Departure" e le conclusive "Good News"
e "Etude" (quest'ultima con un geniale arrangiamento
di flauti e marimba - sicuramente il pezzo più Oldfieldiano del
disco). Un disco comunque da consigliare solo ai fan più accaniti.
Il periodo 1985-86
è abbastanza tranquillo: esce la succosa antologia The
Complete Mike Oldfield (ricca di brani usciti esclusivamente
su singolo), lo stupendo video singolo "Pictures In The
Dark", frutto della nuova passione di Mike per l'aspetto
video della creazione musicale che fungeva da preludio per il progetto
di un video album ("The Wind Chimes") da
far uscire esclusivamente in VHS e Laserdisc; infine nel 1986 esce un
nuovo singolo in compagnia di Jon Anderson, "Shine".
Dopo i vertici qualitativi
toccati con Discovery, Oldfield comincia a mostrare un preoccupante
calo qualitativo con Islands (1987), inferiore anche
al successivo, tanto criticato Earth Moving. Colpa
del crescente malcontento del compositore inglese verso la sua casa
discografica (in particolare nei confronti del patron Richard Branson)?
O l'amore per la sua nuova compagna, la biondona norvegese Anita
Hegerland (degno rimpiazzo di Maggie Reilly alle vocals),
ha avuto effetti nefasti sulla sua creatività? Ai posteri l'ardua
sentenza. Da salvare in questo disco c'è ben poco: alcuni sprazzi
di luce si intravedono nella suite "The Wind Chimes"
(brano recuperato dal video-album menzionato in precedenza, che funziona
"a intermittenza": alcuni momenti memorabili si alternano
ad altri invece loffi e autocelebrativi), nella gelida atmosfera di
"North Point" (forse l'unica traccia del
disco all'altezza delle migliori produzioni di Oldfield) e nel riff
di "Magic Touch". Oltre a questo abbiamo
dei "poppettini" da FM frutto di ispirazione scarsa ("When
The Nights On Fire" e "Islands"
– vocals ad opera di Bonnie Tyler) o nulla ("Flying
Start", "The Time Has Come").
Ad affossare ulteriormente il tutto abbiamo una produzione plasticosa,
veramente deludente rispetto agli standard Oldfieldiani, che purtroppo
ritroveremo anche nel disco successivo.
Ed eccoci arrivati
al disco più criticato e odiato in assoluto tra tutta la produzione
di Oldfield: Earth Moving (1989). In effetti il suddetto
astio non è del tutto ingiustificato: Oldfield manda (forse volutamente)
in letargo la sua creatività per sfornare, sotto le pressioni
della Virgin smaniosa di altri hit-single, un disco pop al
100 per cento, dove buona parte dei pezzi risultano piatti sia dal punto
di vista melodico sia per quanto riguarda gli arrangiamenti. Fortunatamente
non è tutto da buttare: la title-track è dominata
dalla splendida voce di Nikki Bentley; "Innocent"
si imprime nella testa dell'ascoltatore al primo colpo, grazie a una
melodia ruffiana al punto giusto e alla graziosa interpretazione della
Hegerland; "See The Light" è il brano
più energico del disco e ricorda "Discovery",
dall'album omonimo. Ma il brano da antologia è "Blue
Night": Mike Oldfield + Maggie Reilly + atmosfere soft
e acustiche + una melodia dolcissima = applausi a scena aperta.
In soli due anni
Oldfield passa da un estremo all'altro. Se infatti Earth Moving era
un disco dichiaratamente commerciale, per nulla impegnato e privo di
suite, Amarok (1990) è senza dubbio il disco
più sperimentale mai pubblicato dal compositore inglese: contemporaneamente
un regalo ai fan di vecchia data e uno sberleffo alla Virgin. Praticamente
impossibile descrivere un album come questo: un'unica suite di ben sessanta
minuti esatti dove genio, sregolatezza e (soprattutto) imprevedibilità
vanno a braccetto, dove pacate influenze folk inglesi (pensiamo ad esempio
ad Ommadawn) si vanno a scontrare con travolgenti parti di flamenco
e misteriose atmosfere africane, che riportano un po' a Incantations;
dove l'usuale arsenale sonoro di Oldifield è arricchito da "strumenti"
come ad esempio cucchiai, bicchieri o pezzi di un modellino di un aereo,
dove il mitico Uomo Delle Caverne e Margaret Thatcher (ovviamente imitata
ad arte da un'attrice) effettuano improvvise azioni di disturbo, dove
Oldfield invia segnali in codice Morse, in cui prima lancia un S.O.S.
e poi manda letteralmente a quel paese l'ormai odiatissimo Richard Branson,
patron della Virgin, dove… In sintesi, un capolavoro, destinato
però soprattutto ai fan più attenti e vogliosi di sperimentazione,
in quanto molti potrebbero essere spiazzati dalla monoliticità
della proposta, nonché dalle sue "stranezze". D'altronde,
lo stesso Oldfield sulla back-cover del disco afferma: "
AVVERTENZE PER LA SALUTE: Questo disco può essere pericoloso per la
salute dei sempliciotti duri d'orecchio" (cloth-eared nincompoops). Se
soffrite di tali disturbi consultate immediatamente il vostro medico.".
Da segnalare una curiosità: aluni temi musicali presenti sull'album Amarok
hanno come fonte ispiratrice frammenti dell'album "Children of the Sun" dei Sallyangie (1969).
Con Heaven's Open (1991),
Oldfield torna su sentieri più normali,
dopo l'estremizzazione attuata nel precedente album. Si tratta di un
disco che all'epoca venne visto da Oldfield come una vera e propria
liberazione, dato che era l'ultimo previsto dal contratto con la sanguisuga
Virgin, e che, pur essendo a buoni livelli compositivi, è passato
ingiustamente inosservato (come pure era accaduto per il suo magnifico
predecessore Amarok). Per l'ultima volta (finora) ritroviamo la struttura
suite + canzoni che ci ha accompagnato per diversi album: infatti Oldfield
per le successive produzioni ritornerà alle sue origini, concentrandosi
su opere prettamente strumentali. Curioso, inoltre, è il fatto
che il disco sia uscito a nome "Michael Oldfield": esistono
diverse congetture per questo fatto, ma nessuna è mai stata di
fatto confermata – l'autore considera questo disco indegno di
comparire a fianco degli altri usciti a nome "Mike Oldfield"?
Oppure lo considera fin troppo personale e quindi lo ha firmato col
suo "vero" nome (Michael appunto)?
Se comunque la prima ipotesi fosse esatta, Oldfield avrebbe ben poco da vergognarsi.
I brani pop (5 in tutto) sono molto ben composti e arrangiati –
niente male davvero per un disco che si dice sia stato preparato in
fretta e furia –, presentano delle liriche molto autobiografiche
incentrate perlopiù sulle sue frustrazioni artistiche degli ultimi
anni (inequivocabili titoli come "Make Make"
oppure "Mr. Shame") e, soprattutto, sono
cantati dallo stesso Oldfield con risultati non malvagi, grazie anche
a sei mesi di lezioni di canto presso l'insegnante di illustri colleghi
come Peter Gabriel o George Michael.
Anche la produzione è ottima e grazia soprattutto la schizoide
suite finale, "Music From The Balcony" (ascoltare
la batteria – suonata da Sua Maestà Simon Phillips –
per credere), che alterna inconfondibili sezioni atmosferiche a improvvise
esplosioni di energia.
Oldfield è
finalmente libero dalla Virgin e, come per una sorta di scaramanzia,
decide di inaugurare il suo contratto con la WEA con
il seguito del suo più grande successo commerciale (nonché
primo disco inciso per la sua vecchia casa discografica). Tubular
Bells II (1992) è un disco di cui il compositore inglese
aveva annunciato da tempo la pubblicazione ma che, certo del successo
che avrebbe ottenuto, aveva fino a quel momento tenuto nel cassetto
per non dare l'ennesima soddisfazione all'odiata Virgin. Oldfield riprende
nella sua totalità (e quindi nel pieno rispetto della sua struttura)
il primo Tubular Bells, cambiandone però opportunamente i temi
melodici, in modo tale da creare un disco che contemporaneamente dà
all'ascoltatore la sensazione di ascoltare sia un nuovo disco sia il
primo Tubular Bells risuonato con strumenti moderni. Dell'originale,
opportunamente e magistralmente rivisitati, ritroviamo l'ipnotica intro
di pianoforte ("The Sentinel"), il maestro
di cerimonie che presenta gli strumenti ("The Bell"),
il lento riavvio dell'ipotetica seconda parte della suite ("Weightless",
forse il brano più riuscito del disco assieme a "Tattoo"),
l'ingresso della batteria e la parte vocale dell'Uomo Delle Caverne
("Altered State") e così via.
Dichiara Mike: "Mi piacerebbe vedere qualcuno
suonare in modo diverso da tutti gli altri, non utilizzando la scala blues, non scivolare nel jazz,
ma fare qualcosa di nuovo partendo dal nulla."
Sulla scia del successo
di vendite di Tubular Bells II, la Virgin pubblica la raccolta Elements
in versione CD singolo oppure nel box da 4 CD. Intanto Oldfield sforna
un nuovo lavoro, The songs of the distant Earth (1995),
ispirato al romanzo di Arthur C. Clarke "Racconti Di Terre Lontane",
di nuovo totalmente strumentale (composto da brani di breve lunghezza
fusi tra loro in modo da formare una lunga suite). E' un ritorno al
miglior Oldfield nonché il primo album della storia a includere
una traccia CD-Rom interattiva. Ascoltate questo disco al buio e in
cuffia: Oldfield, grazie a un eccellente lavoro di ricerca sonora incentrato
su rarefatte atmosfere sintetiche e su ritmiche elettroniche campionate,
vi immergerà in un fantastico mondo futuristico, dove l'unica
vostra guida sarà la sua chitarra, che sovente si innalza sulle
stratificazioni costruite dai synth. Fatevi catturare dal magnetico
inizio di "Let There Be Light", avvolgetevi
nel magico bozzolo di "Hibernaculum", esplorate
il "Tubular World", e soprattutto ignorate
chi bolla quest'album come banale new-age: costui ignora che
fare musica significa soprattutto creare emozioni, e qui Oldfield riesce
alla perfezione nell'intento, proprio perché è un disco
che arriva direttamente al cuore dell'ascoltatore, senza volerlo stupire
con virtuosismi o armonie iper-ricercate.
Il successivo Voyager
(1996) è un album interlocutorio, interamente ispirato alla musica
celtica e (in minima parte) a quella folk spagnola - Oldfield si è
da poco trasferito ad Ibiza -, con solo quattro pezzi originali (i restanti
sei sono rielaborazioni di pezzi tradizionali). La monotematicità
è contemporaneamente il pregio e il difetto di quest'album: pregio
perché è indubbio il fascino di queste melodie senza tempo,
difetto perché il disco è troppo ripetitivo e lascia poco
spazio alle sorprese. Tra i pezzi di Oldfield, il migliore è
senza dubbio "Voyager", con un ottimo tappeto
percussivo che ricorda vagamente quelli di Incantations, discreti ma
niente di particolare sono "Celtic Rain"
e "Wild Goose Flaps Its Wings", mentre troppo
pretenzioso e monotono risulta essere il lungo brano finale "Mont
St. Michel", con tanto di orchestra. Tra gli altri brani,
i più riusciti sono l'iniziale "The Song Of The
Sun, She Moves Through The Fair" (a cui si sono ispirati
anche i Simple Minds per la loro "Belfast Child") e soprattutto
la magnifica "Women Of Ireland", divenuta
celebre in Italia per essere la colonna sonora di uno spot della Peroni.
Nel 1997 esce la
raccolta XXV, che propone in anteprima uno stralcio
dell'imminente terza parte della saga di Tubular Bells. Nel frattempo
Oldfield, durante la sua permanenza in Spagna (e con la complicità
della sua giovane nuova compagna), conduce una vita piuttosto sregolata:
frequenta i club più esclusivi e non si perde un rave-party,
finché l'abuso di alcool ed ecstasy non lo riducono
in condizioni psico-fisiche precarie. Dopo l'ennesima disavventura,
un incidente automobilistico che gli comporta la sospensione della patente
per un anno, abbandona Ibiza, fermamente deciso a non metterci più
piede. L'esperienza spagnola ha comunque lasciato il segno in buona
parte delle atmosfere del suo nuovo album.
Tubular
Bells III (1998), terzo capitolo della saga, è un album
privo di tempi morti, dove Oldfield ha commesso un unico grosso errore:
la scelta del titolo. Certo, non mancano i riferimenti ai due Tubular
Bells precedenti, ma è palese il tentativo di sfruttare l'appeal
del nome per vendere qualche copia in più, mossa che per Oldfield
è stata abbastanza controproducente, in quanto buona parte della
critica gli si è schierata contro a priori, senza valutare l'effettivo
valore musicale del disco. Il pezzo di apertura è "The
Source Of Secrets", terza rilettura - dopo "The Sentinel"
- dello storico tema di apertura del primo Tubular Bells, innestata
su una pompatissima base ritmica (e qui sicuramente le notti di Ibiza
hanno avuto la loro influenza). Un attimo di rilassamento con "The
Watchful Eye", e le ritmiche elettroniche ritornano, sebbene
più pacate, in "Jewel In The Crown",
dove è la chitarra a farla da padrone. Chitarra protagonista
anche nella potentissima e metallica "Outcast"
e nel flamenco di "Serpent Dream"; chiude
un'ipotetica prima parte dell'opera "The Inner Child",
che ricorda molto alcune cose di Ennio Morricone. Si
riparte con la pietra dello scandalo: "Man In The Rain",
pericolosamente simile a "Moonlight Shadow". Che dire? Le
somiglianze ci sono ma, per come la vedo io, Tubular Bells II"
sta a Tubular Bells come "Man In The Rain" sta a "Moonlight
Shadow": una buona rilettura dell'originale.
Le influenze celtiche di "Voyager" ritornano nella trascinante "The
Top Of The Morning", e si tira un po' il fiato con "Moonwatch",
prima della potente conclusione dell'opera con "Secrets",
che riprende il tema iniziale, e "Far Above The Clouds",
che si sovrappone sinuosamente al pezzo precedente e presenta le mitiche
Campane Tubolari a scandire gli ultimi istanti dell'album. Imperativo:
ascoltare senza pregiudizi.
A tre anni di distanza
da Voyager, Oldfield ripete l'esperimento dell'album "a tema"
con Guitars (1999). Il nome del disco è autoesplicativo
riguardo ai suoi contenuti: dieci tracce interamente strumentali, dove
la chitarra la fa da padrone (ma limitandosi a un ruolo di rifinitura,
non aspettatevi assolutamente virtuosismi) e le rare note di synth
o sampler sono state generate da chitarre Midi. Come era già
successo per Voyager, il disco risulta piacevole ma, in generale, non
decolla; i suoi momenti migliori li troviamo nei pezzi più atmosferici
e malinconici come la introduttiva "Muse"
o "Embers", mentre le sferzate elettriche
di brani come, ad esempio, "Cochise" o "Out
Of Sight" non colpiscono nel segno in quanto prive di
un significativo sostegno ritmico. Un disco abbastanza trascurabile,
in definitiva.
Dichiarazione di Mike: "Non ascolto i miei vecchi album.
Ho troppa paura. Penso sempre solo al prossimo album. Arriva poi il momento in cui ho finito un album, e dico: 'Ecco fatto'."
A soli sei mesi
dal precedente Guitars, con The Millennium Bell (1999),
Oldfield sforna il quarto disco a presentare nel titolo la sacra parola
"bell", che rappresenta una celebrazione in musica dei momenti
salienti del millennio che sta per finire. Album globalmente non riuscito,
ha come principali difetti una eccessiva frammentarietà stilistica,
e un avvio un po' lento: "Peace On Earth"
e "Santa Maria" sono dei pezzi pseudo-spiritual
davvero privi di mordente, "Sunlight Shining Through Cloud"
e "Pacha Mama" scivolano via senza lasciare
troppe tracce. Le cose migliorano di molto col trittico seguente, che
propone un'alternanza di stili molto singolare. Si parte con l'azzeccata
"The Doge's Palace", ovvero il Rondò
Veneziano in versione 2000; seguono le delicate atmosfere orchestrali
di "Lake Constance" e la strana ma efficace
"Mastermind". Ritornano le atmosfere orchestrali
(con stavolta il pianoforte a farla da padrone) in "Broad
Sunlit Uplands", mentre con "Liberation"
sulle prime sembra di ascoltare Enya ma poi ci pensano un efficace tappeto
percussivo e (soprattutto) una magica chitarra ad imprimere il marchio
Oldfield sul pezzo. Penultimo brano è la marcia trionfale di
"Amber Light", mentre a chiudere le ostilità
ci pensa la title-track, collage di vari brani del disco inframezzati
da parti strumentali su un'inusuale (ma efficace) ritmica dance.
Oldfield inaugura
il nuovo millennio con Tr3s Lunas (2002), un doppio
CD (l'album e un videogame in 3D), che può essere concettualmente
considerato come il successore di The Songs Of Distant Earth: stesse
semplici ma efficaci melodie, stesso clima evocativo, prevalenza schiacciante
della componente strumentale rispetto a quella vocale. Caratteristica
comune a quasi tutti i pezzi è l'uso di ritmiche ipnotiche (tipiche
della musica chill-out, una corrente musicale moderna di cui
Oldfield è considerato uno dei precursori) che, unite alle sapienti
linee di synth e di chitarra, creano rilassanti atmosfere.
Il disco è qualitativamente piuttosto omogeneo (leggermente inferiori
rispetto al resto sono il singolo cantato "To Be Free"
e "Thou Art In Heaven"), propone melodie
orecchiabilissime ma non stucchevoli e ha i suoi momenti migliori nel
delicato affresco pianistico di "Daydream",
in "Return To The Origin", con degli eccezionali
ricami d'organo, in "Turtle Island" e nella
title-track, in cui la chitarra acustica detta legge. La versione
completa e gratuita del gioco è reperibile su Tubular.net.
Nel 2003 esce Tubular Bells 2003, un nuova registrazione dell'originale Tubular Bells, su CD e DVD-audio.
Ciò si è reso necessario per sistemare alcune imperfezioni nella versione originale, causate dalle limitazioni tecnologiche esistenti a quel tempo, ma anche al poco tempo
allora disponibile durante le registrazioni. Con questa uscita, Oldfield, ha voluto anche ricordare il 30° anniversario di Tubular Bells ed inoltre il proprio 50° compleanno.
Il 12 aprile 2004 Oldfield lancia il suo nuovo progetto di Realtà Virtuale, noto col nome Maestro, vale a dire un videogioco che contiene musiche tratte dall'album Tubular Bells 2003 e alcune melodie inedite. La versione completa e gratuita del gioco è reperibile su Tubular.net.
Il 26 Settembre 2005 esce l'album Light + Shade, un doppio album che rappresenta i due lati della sua personalità musicale.
Nel CD 1 intitolato "Light" troviamo un Mike Oldfield più progressivo, indirizzato agli ambienti e sonorità più "trance", temi più melodici, effetti vocali e sperimenti strumentali più ritmati.
Il CD 2, intitolato "Shade", è qualcosa di più oscuro, il contrappunto malinconico, un disco più di atmosfera, più vicino alla "chill-out".
"Light + Shade" è un miscuglio di semplicità e complessità. Mike è senza dubbio un personaggio particolare che non si considera un "normale" musicista, ma "un tecnico che converte le idee in suono". Un personaggio inquieto ed innovatore che ha incorporato nei vari temi dell’album il programma interattivo U-Myx.
"Light + Shade" è il primo album in assoluto che include più brani in formato U-MYX, formato di file musicale interattivo che permette ai fans di creare brani propri e missaggi personalizzati usando canzoni di vari artisti, senza aver bisogno di conoscenze specialistiche o di equipaggiamenti sofisticati.
Le quattro canzoni in formato U-Myx incluse nell'album sono: Angelique, Our Father, Slipstream e Quicksilver.
Eccoci così arrivati al 17 marzo 2008, quando Oldfield decide di abbandonare il rock e il pop per esplorare altri universi musicali. Il suo nuovo lavoro è, infatti, un disco di musica classica, il primo di questo genere per lui. In tutto 14 brani - divisi in due parti - per orchestra, dal titolo "Music of the Spheres", con alcuni interventi cantati dal soprano Hayley Westenra e dal coro. In più, il piano forte è suonato dal pianista Lang Lang e la chitarra classica dallo stesso Oldfield. Composto e prodotto integralmente dall'artista, l'adattamento dell'opera, per poter essere suonata da un'orchestra, è stato invece eseguito da Karl Jenkins.
Già il titolo "Music Of The Spheres" è di per sé evocativo. Come Oldfield afferma, ogni cosa in questo mondo ha una sua vibrazione interna. Un suono unico per ogni cosa, vivente o non vivente, che crea una musica che nessuno può sentire. Lo stesso potrebbe estendersi anche ai pianeti, al sistema solare o ad un'intera galassia. "Musica Universalis" è un'antica teoria secondo la quale ogni corpo celeste (sole, luna, pianeti, stelle) ha una sua musica interna non udibile dall'orecchio umano. Un richiamo a Pitagora secondo il quale la musica é in relazione con il movimento del sole, della luna e dei pianeti. "Music Of The Spheres" è l'interpretazione di Oldfield di questa teoria. Un album epico che trasmette il senso della vastità e della meraviglia dell'universo, ma anche la sua potenza ed energia. Emozionante, a tratti triste, tenero o pieno di serenità e gioia, l'album diventa il mezzo ideale per un meraviglioso viaggio in una dimensione eterea e fantastica.
E' un disco da ascoltare più volte per apprezzarlo al meglio, soprattutto per quelli che, abituati al rock e al pop, difficilmente ascoltano musica classica, ma che certamente verranno ripagati dalla bellezza della sua musica.
Con "Harbinger", l’inizio dell’album viene affidato a reminescenze tubolari, con un Mike ancorato al ricordo di un passato che non può tornare. Ma il bello arriva con "Animus" che ti ferisce senza poterti difendere, solenne e imponente, seguito da "Silhouette" che invece si compiace nel raccontarti un mondo diverso, migliore.
Mike riesce ancora una volta a trasmetterci le sue emozioni, dimostrando di avere ancora voglia di rovistare nel proprio cuore in cerca di ispirazione, prima con "Shabda" facendoci immergere nel suono dell'orchestra che rincorre una chitarra acustica degna di una nuova giovenezza, e poi con "The Tempest" mostrandoci i sinfonismi di un orchestra in grande forma.
"On my heart", brano che chiude la prima parte dell'album, è un pugno allo stomaco, adoperando le linee vocali di un tempo. Immensa.
Nella seconda parte, "Aurora", "Prophecy" e in seguito "Harmonia mundi" sono tre grandi brani che non si scostano molto dalla linea ormai disegnata nella prima parte dell’album mantenendo alta la media generale.
In finale, "Musica Universalis" colpisce per la sua maestosità, iniziando con suoni tenui, un racconto di un viaggio in un crescendo di ritmo e intensità che culmina in un'orgia di suoni e strumenti, espressione dell'immensa forza e dell'infinità dell'universo.
Durante la composizione dell'album Oldfield dichiara: "Sarà tutto un lavoro per orchestra, tranne che per la chitarra classica e per il pianoforte. Suonerò io questi due strumenti [ma poi decise diversamente]... è più ispirato alla festa di Halloween [antica festa risalente periodo avanti Cristo], che ai film horror di Hollywood... Il vantaggio di tutto ciò è che in finale avremo una partitura orchestrale, che chiunque al mondo sarà in grado di procurare e suonare".
Scaduto il contratto-trappola che da 30 anni legava Mike alla Virgin e con il passaggio dell'intero catalogo alla Mercury (Universal), si è programmata la ristampa completa della discografia di Mike Oldfield e si è deciso di iniziare con Tubular Bells versione 2009, disponibile dal 8 giugno 2009 come "Deluxe Edition" (2CD e 1 DVD), "Ultimate Edition" (3CD, 1 DVD, l'album in vinile oltre a un bel libro), "2CD Edition" e "Vinyl Edition", oltre a due versioni digitali.
Tubular Bells nell'arco dei suoi quasi 40 anni di vita è rinato sotto varie edizioni e commemorazioni: l'edizione originale del '73, la versione orchestrale del '75, la versione quadrifonica uscita nel '76, quella su CD con vari remastered, e poi in super audio, in HDCD, la riedizione completamente risuonata del 2003 rilasciata anche su DVD Audio, ma Mike ha deciso di mettere mano per l'ultima volta al suo capolavoro.
Avendo ottenuto finalmente la proprietà dei nastri originali, dalle Bahamas, dove attualmente ha la residenza, Mike ha deciso di ripulire ogni traccia dell'opera, smontare la struttura dei brani e poi rimettere tutto insieme come se fosse la prima volta.
Aveva dichiarato sempre che le teconologie del '73 non gli avevano permesso di esprimersi come avrebbe voluto, molti strumenti risultando slegati dal corpo della melodia e avendo problemi di sincronia. Ora tutto questo è sparito e Tubular Bells si presenta come la magistrale suite musicale di quasi un'ora in cui la genialità dell'autore viene ancora una volta confermata: il fruscio di sottofondo è scomparso, gli strumenti suonano freschi e brillanti, il suono è pulito e ciò che prima sembrava un rumore di sottofondo si è rivelato essere un strato musicale di sintetizzatori e bassi che, se prima si intuivano, ora appaiono in tutto il loro splendore.
In questo periodo Mike Oldfield dichiara riferendosi al suo debutto: "Su Tubular Bells tutto è stato fatto al primo colpo - è stato bello, molto spontaneo. Ho avuto tanto tempo per prepararlo e ho avuto solo una piccola possibilità di realizzarlo. Ora, ascoltandolo, trovo che ha una bella e spontanea energia. Ha ovviamente degli errori, che avrei potuto facilmente eliminare, ma alla fine ho deciso di mantenerli."
Una settimana prima della pubblicazione del nuovo Tubular Bells, la Mercury aveva deciso di pubblicare "The Collection", il 31 maggio 2009, una passeggiata retrospettiva attraverso il pittoresco passato musicale di Mike Oldfield. Divisa in due dischi - il primo concentrato interamente su Tubular Bells - The Collection è uno sguardo su tutta l'opera di Oldfield, dalle sue radici sperimentali, alle incursioni contemporanee nella musica classica ed orchestrale, che non lascia angoli inesplorati e che si autodefinisce come essenziale per la collezione di dischi dei principianti di Oldfield, ma anche per i collezionisti più incalliti.
Con presenze di rilievo come Ommadawn, Five Miles Out e QE2, The Collection può essere recepita come un autentico documento che testimonia e spiega l'evoluzione di Oldfield, la sua maturazione ed accrescimento come artista. Esteso su più di trent'anni e forte dal costante sostegno della tecnologia moderna, il viaggio musicale proposto è davvero affascinante.
In virtù al piano di ristampa dell'intera discografia di Mike Oldfield, la Mercury ha pubblicato il 7 giugno 2010 due versioni remissate, approvate e autorizzate da Mike stesso e rimasterizzate: Hergest Ridge e Ommadawn.
Le due nuove pubblicazioni contengono le versioni 2010 delle registrazioni originali, rimasterizzate per un pubblico moderno, ma anche inedite versioni demo e missaggi originali, bonus track accuratamente selezionati e filmati su DVD ad accompagnare brani specifici.
Le edizioni disponibili per i due album sono le seguenti: Deluxe 2CD & DVD Edition, Single Disc Edition, Back To Black Vinyl Edition, Strictly Limited Edition (250 copie contenenti Deluxe 2CD & DVD Set, Back to Black Vinyl, copertina del LP firmata da Mike, Demo originali e libri) e le versioni digitali scaricabili on-line.
Da segnalare anche la nuova copertina dell'album Hergest Ridge. Oldfield non è mai stato contento dall'immagine originale dell'album: una foto fatta dal suo aliante sopra Hergest Ridge (sua residenza all'epoca) alla quale venne applicato l'effetto Lente fisheye (ad occhio di pesce). Questa volta la squadra di Oldfield, proponendosi una riprogettazione, ha usato un'immagine ripresa da Google Earth di Hergest Ridge e la campagna circostante per collegare per sempre la zona alla musica - idea ulteriormente rafforzata dal libretto dell'album, "Girando per Hergest Ridge - Una guida per gli escursionisti e la storia dietro la musica che ha ispirato".
In questo periodo Mike, sempre vagando in barca insieme alla famiglia per le mari caraibiche, fa dichiarazioni del tipo: "Non mi sento un musicista. Non so... creo suoni, che sono l'espressione delle mie emozioni.", oppure "So di essere molto instabile, e probabilmente lo sarò sempre, il punto è che mi sono accettato per come sono." e "Fin da quando ero molto giovane la musica è stata molto importante per me. Ero felice quando lavoravo. Con l'età però la musica sta diventando sempre meno importante per me, e sto imparando, credo, di godermi la vita anche senza la musica. Sono stato veramente un fanatico della musica per la maggior parte della mia vita."
Oltre alla musica, gli interessi di Mike Oldfield includono l'aviazione (lui è un pilota d'aereo qualificato e di elicottero), gli aeromodellini, le moto, la fantascienza (è appassionato di Star Trek) e le barche (possiede uno yacht da 56 piedi alle Bahamas).
Mike è stato onorato avendo un pianeta minore (un asteroide) chiamato con il suo nome.
Diverso dalle organizzazioni commerciali che vendono i nomi delle stelle, la denominazione dei pianeti minori è controllata da una commissione dell'Unione Internazionale Astronomica, il Corpo Governante per Astronomi Professionali.
L'oggetto in questione è (5656) Oldfield.
Gareth Williams, oltre ad essere un grande fan di Oldfield, è stato colui che suggerì il nome. Garet fece l'identificazione tra 1920 osservazioni originali fatte da Edward Bowell dal 1978 al 1981.
Mike compose la musica per il film "Lawrence Moore" prodotto per il Consiglio dell'Arte britannico nel 1978.
La colonna sonora "Reflection" si riferisce alla geometria sacra di Stonehenge, ai labirinti inglesi e alle cose riflessive. È qui che "Portsmouth" fece il suo esordio!
Mike ha riscritto alcuni pezzi del suo "Ommadawn" e "Hergest Ridge" per "Lawrence Moore" e ne ha composti di nuovi. Il film uscì nelle sale inglesi e americane nel 1979.
di Pasquale Renna e Giuliano Plenevici
|