MELODY
MAKER - 25 NOVEMBRE 1978
QUESTO
È L'ANNO IN CUI
L'UOMO SI APRE...
Ciò
che Scientology ha fatto per Chick Corea (e John Travolta), Exegesis
lo sta facendo per il mite, schivo Mike Oldfield. Che punta gli occhi
su Karl Dallas.
"Esegesi, sost. esposizione, esposizione delle Sacre Scritture"
- Concise Oxford Dictionary.
INSOPPORTABILE!
Mike Oldfield mi fissava in modo penetrante con quei suoi occhi blu
acciaio da più di un minuto, sfidandomi a guardare da un'altra
parte e io non ci riuscivo. È uno sciocco trucco infantile quello
di costringere qualcuno ad abbassare lo sguardo fissandolo, ma quando
Oldfield cominciò, io, come uno stupido, accettai la sfida. Così
stemmo seduti in silenzio nella bettola alla moda di Fulham, fissandoci
a vicenda, mentre il resto della compagnia strusciava i piedi imbarazzata.
Finalmente, il fotografo, Barry Plummer, spezzò la tensione impacchettando
l'attrezzatura e preparandosi ad andarsene. Oldfield interruppe la sua
guerra fatta d'occhiate per dirgli arrivederci e io presi fiato per
la prima volta - mi parve - dopo un'eternità.
Questo nuovo Mike Oldfield sicuro di sé era più difficile
da trattare del vecchio, sfuggente e nevrotico. Anche al tempo in cui
era un prodigio della chitarra che incideva per la Transatlantic
con sua sorella Sally, Oldfield era un ragazzo difficile. Ogni intervista
era un nuovo tipo di sfida, ognuna alla fine vinta - almeno fino ad
oggi.
La prima volta, alla vigilia dell'uscita di Tubular Bells in
confronto fu facile perchè fece quello che gli aveva detto Richard
Branson. Così, ci mettemmo semisdraiati uno accanto all'altro
sul letto della sua cameretta nello studio di registrazione del Manor,
e rispose alle mie domande in un tono monotono, così basso che
sul nastro era quasi impossibile capire le sue parole. Alla fine di
quella che io ritenevo essere stata una discussione del tutto amichevole,
dichiarò: - Mi sento come se mi avessero violentato.
Il successo non ha viziato Mike Oldfield, ma ha contribuito a distruggere
lo scarso equilibrio emotivo che aveva. Stanarlo per un'intervista è
diventato una specie di caccia grossa. Avevo provato anche a prendere
uno di quei minuscoli registratori che puoi tenere in tasca e ad appuntarmi
una cimice Lavallier sul risvolto della giacca come un agente della
CIA, ma Oldfield aveva fiutato l'oggetto tecnologico.
Sebbene avessi trascorso un intero fine settimana con lui nella casa
sul pendìo di fronte ad Hergest Ridge, affannandomi
su per la collina per far volare gli alianti radiocomandati e scendendo
al vicino paese di Penrhos per suonare il mandolino e cantare
canzoni folk ad una truppa di perplessi turisti americani dai capelli
bluastri, ogni volta che la conversazione ricadeva sulla musica, si
abbandonava a grugniti e monosillabi.
Altri giornalisti non se l'erano passata meglio. Ricordo un giornale
che pubblicizzò per radio un'intervista esclusiva con Oldfield,
sicuro di riempire un paio di pagine. L' "intervista" ebbe
a consistere in una lunga descrizione del tipo di difesa emotiva che
gli era familiare e si concluse con l'unica cosa che riuscirono a cavargli
fuori, la parola sì. O forse era no, ma aveva lo stesso valore.
Alla fine andai al sodo, e gli chiesi quando pensava di smetterla di
prendere per i fondelli e di concedermi un'intervista seria. Era il
giorno in cui registravano l'arrangiamento per orchestra sinfonica di
Tubular Bells e, con mio grande sconforto (poichè non avevo il
registratore con me), acconsentì immediatamente. - Ok,-
disse - facciamola ora.
Fissammo per il giorno seguente e, in un paio d'ore, Oldfield mi parlò
di sé e della sua musica più, credo, di quanto avesse
mai fatto prima o dopo. In seguito disse a Branson: - Quella
è stata l'ultima intervista che ho fatto.
Quando un ragazzo sta macinando così tante copie di un unico
album, prodotto a basso costo, può prendere una decisione come
questa e mantenerla.
Per un bel periodo di tempo vi si attenne pure, anche se accordò
un'udienza ai tempi di Ommadawn solo per negare che, nel decifrare
quel titolo come amadan, una parola gaelica che significa "pazzo",
io avessi svelato la sua funzione di autobiografia musicale.
Mike Oldfield non è il solo artista di statura mondiale che sia
recalcitrante a sottomettersi ad un esame, preferendo far parlare la
sua musica e lasciando fare ai critici le loro valutazioni senza il
suo aiuto. I Pink Floyd hanno più o meno la stessa abitudine,
Bob Dylan fa così e questa è una cosa comprensibile. Nessuno
si aspetta che Sir William Walton si sieda davanti a una folla di giornalisti
per spiegar loro le motivazioni che stanno dietro la sua ultima sinfonia.
Debbono scoprirle da soli.
Ma non è stata questa la ragione per cui ho preso tutti questi
calci da lui e ho continuato a tornare per prenderne degli altri. E
non è stato neppure il vecchio giornalista dalla barba grigia,
deciso a mettere il suo uomo in prima pagina, anche a costo di starsene
seduto tutta la notte sulla soglia di casa sua. È stato semplicemente
che, come nessun'altro che conosco eccettuato forse James Taylor durante
la sua fase Strapazzare lo zoo, con Mike Oldfield l'uomo, la sua musica
e i suoi traumi, sono un tutt'uno e non è possibile capire l'uno
senza conoscere gli altri.
Mike mi spiegò una volta, durante quell'unica intervista rivelatoria,
come le sue più delicate, angosciose e magnifiche melodie sono
state composte come una specie di terapia personale, non tanto per esprimere
come si sentisse al tempo della sua più profonda e paranoica
depressione, ma per trovare qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa per
cambiare quello stato mentale nel modo che voleva. I nostri meetings
erano diventati quasi una specie di punto d'incontro di vecchi ragazzi
della notte, nei quali ricordavamo le pause nervose che avevamo avuto
e ci dicevamo come affrontare il mondo d'oggi.
Poi, improvvisamente, un giorno tutto questo cambiò. Ricevetti
una telefonata da uno sbigottito ufficio stampa della Virgin Records,
che annunciava che Mike era appena arrivato in città e che voleva
rilasciare alcune interviste.
Ci incontrammo, facemmo una colazione molto cordiale nella creperia
vicino all'angolo di Portobello Road e io fui contento di constatare
quanto sembrasse completamente cambiato, ma la conversazione rimase
principalmente di natura personale. Non emersero grandi cose sulla musica
e quindi non fui mai interessato a scriverle.
Ed ora eravamo
nuovamente qui, e tutto era ancora una volta diverso. A stento riconobbi
questo ragazzo sbarbato, fresco, estroverso, che mi buttò le
braccia al collo appena fui sulla sua Rolls, che sedette con
il braccio drappeggiato protettivamente sulle mie spalle, mentre mi
diceva come avesse posato per delle fotografie che dovevano somigliare
alle statue di Auguste Rodin, come stesse pensando di comprarsi un jet
Lear (costo: due milioni di dollari), come avesse insegnato
a se stesso a volare, liquidando come cazzate le voci che lui aveva
accidentalmente cancellato i nastri del suo nuovo album quando era ormai
quasi finito, e negando pure che stesse pensando di andare a vivere
in Bretagna.
- No, - disse - vivo ancora nell'Herefordshire.
Però, davvero, ho imparato a vivere dovunque mi capiti.
E cioè, oggi e in questo mondo?
- Esatto!
Mentre aspettavamo di essere serviti al ristorante cominciò il
balletto.
- Ok, - disse - fammi qualche domanda.
Obbiettai che non erano né l'ora né il luogo, ben sapendo
che l'informalità poteva mandare all'aria tutta la faccenda,
che il modo per farsi fare qualche rivelazione era di predisporre una
situazione più formale, strutturata con vere domande e, forse,
vere risposte. Questo era difficilmente possibile, con Donna Summer
che strillava MacArthur Park nel mio orecchio destro, così esitai
un po’, prendendo tempo.
- Bene, - disse lui allegramente, dando un'occhiata
al suo costosissimo, multifunzionale orologio analogico - la
faremo alle 8.30, vale a dire esattamente tra dieci minuti da adesso.
Spostò la sua attenzione su Denise, che risultò essere
una modella e un'autrice di storie per bambini, una ragazza giovane
e gentile che sembrava combattuta tra il fascino per il suo indubbio
carisma e la resistenza all'opprimente natura della personalità
che stava riversandoci addosso. Capivo esattamente come si sentiva.
Si scusò dopo il pranzo apatico e non ci raggiunse sull'houseboat
di Richard Branson, dove finalmente ci fu L'Intervista, ovvero il duello
con il registratore alle ore piccole prima dell'alba.
Volli sapere che diavolo stava succedendo.
- Per lungo tempo - disse lentamente, nel tono piatto
e misurato di chi detta una lettera d'affari - io ero determinato
a stare male in modo da buttare fuori alcune cose, inclusa la mia infanzia.
Ora ho completato quel processo e ho scelto di stare bene. Ho scelto
anche di esprimermi attraverso le mie emozioni, perché sono stufo
delle emozioni. Sono stufo di essere un romantico. - un riferimento
alla prima parte della serata quando io lo avevo descritto come un romantico
e lui aveva rifiutato l'addebito - Ho intenzione soltanto di
esprimere me stesso e se la gente vuole ascoltarmi mentre esprimo me
stesso lo farà. E se non vuole, non lo farà. Non è
qualcosa che devo fare, è qualcosa che scelgo di fare.
Qualcosa che desideri fare, lo incitai.
- No, davvero, sto scegliendo di farlo.
Che c'era stato nella sua infanzia che aveva dovuto buttar fuori in
modo così traumatico?
- I rapporti con i miei genitori, il rapporto tra mia madre
e mio padre, tutto. Ero responsabile anche di questo.
Scusa?
- Anche questa è stata una mia scelta. Sono responsabile
di tutto ora, piuttosto che dire che tutto mi sta succedendo perchè
lui ha fatto e lei ha fatto; non ha niente a che vedere con me. Sono
del tutto colpevole e tutto è stato colpa mia. Sono responsabile
di ogni cosa in tutto e per tutto. Così, se decido di stare bene,
lo faccio. E se sto con qualcuno che è veramente sgradevole per
me, anche questo è colpa mia, perché sono io che, in ogni
momento, creo di continuo la realtà che mi circonda. Sono esattamente
la stessa persona, sto solo guardando le cose da un diverso punto di
vista.
A cosa è dovuta questa trasformazione?
- Non facevo altro che stare male. Stavo male in modo da dimostrare
che la gente è fatta di rotti in culo, io stesso ero un rotto
in culo, nessuno mi voleva bene e io odiavo tutti. L'ho provato e riprovato
finchè non stavo ottenendo nient'altro che dimostrarlo una volta
di più. Così, un paio d'anni fa, ero all'incirca alla
fine di Ommadawn, ho cominciato a maturare la decisione di cambiare
strada, di lasciar perdere tutto questo, di scoprire qualcosa su quella
parte di me ed eliminarla. Ed essere me stesso senza tutte le mie stupidaggini.
È un gioco arduo da fare su se stessi. E avevo avvertito per
tutta la sera la stessa specie di disturbo alienante che avevo visto
in altri amici che si erano convertiti a Scientology, o il Guru Maharaji
e in alcuni comunisti che erano tornati alla Chiesa - il forte, bruciante
fuoco del convertito, disorientamento rimpiazzato da certezza - l'infallibile
sicurezza di sé negli occhi che mi aveva colpito al ristorante.
E, come sospettavo, questo risultò essere stato una parte della
storia recente di Oldfield.
- Finalmente, nel giugno di quest'anno, ho frequentato un corso
di tre giorni, un seminario che durava tre giorni chiamato Exegesis
che, credo, abbia fermamente cementato il mio cambiamento.
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Qui,
forse, stavo diventando un po’ disonesto, perché non gli
dissi qualcosa che mi aveva infastidito già da prima che ci incontrassimo:
vale a dire che avevo ascoltato il suo nuovo doppio album e non mi era
piaciuto molto. Né, sospettavo, era piaciuto a molti critici.
Affrontai l'argomento indirettamente. Dato che, gli dissi, i momenti
duri ai quali aveva voltato le spalle avevano anche ispirato quella
musica che lo aveva reso famoso nel mondo…
Mi interruppe: - Sì, ma vedi, io quella l'ho usata. Prima
ancora di realizzare Tubular Bells sapevo che sarebbe stata un successo.
Ho avuto sempre una certezza a livello conscio, che lo sarebbe stata.
Il modello che ripeto è per prima cosa fare in modo da piacere
alla gente e quindi portarla a rifiutarmi, ed è esattamente ciò
che ho fatto con Tubular Bells ed Hergest Ridge.
E così Hergest Ridge è stata il rifiuto; e cosa è
stata Ommadawn?
- Oh, ho dovuto di nuovo fare in modo da piacere alla gente.
Ma del resto ho fatto il mio gioco con quelle due. Ommadawn non ne faceva
parte, specialmente la fine del primo lato. Quello era un rilascio di
energia negativa, di frustrazione assoluta, delle quali sono stufo.
Così i critici ai quali non piaceva Hergest Ridge - e io appartenevo
più o meno a quella minoranza che allora preferiva questo al
non impeccabile lavoro da genio che lo aveva preceduto - avevano avuto
ragione a rifiutarlo?
- Certo. Ho ottenuto esattamente quello che volevo. Dato che
io continuo a creare realtà in ogni momento non posso sbagliare.
Sono completamente responsabile di tutto quello che mi accade.
Ammettiamo per un momento che avesse ragione. Se Oldfield fosse stato
un filosofo avremmo potuto tuffarci in un colto discorso sulle teorie
dell'arcivescovo Barkeley, il quale riteneva che il mondo al di fuori
di noi sarebbe il prodotto della nostra percezione soggettiva e non
sarebbe più reale dell'idea che noi ci siamo fatti di esso. Se
fosse stato un tipo qualsiasi avremmo potuto cominciare a pensare di
avere davanti un ragazzo parecchio di fuori.
Ma lui è un artista e, come ha detto Freud, "se una
persona che è ai ferri corti con la realtà possiede un
dono artistico, può trasformare le sue fantasie in creazioni
d'arte anziché in sintomi di malattia. In questo modo può
sfuggire al triste destino della nevrosi e, attraverso un giro vizioso,
riacquistare il contato con la realtà."
E questo è esattamente quello che Oldfield sembrava aver fatto.
Ricordo che, mentre parlavo di lui con qualcuno alla Virgin e chiedevo
come stesse, mi fu detto - Oh, è in uno stato tremendo perché
si è appena lasciato con la sua ragazza. Naturalmente ha ricominciato
a lavorare in studio.
Ma perché, mi chiedevo meravigliato, se invece di accettare la
spiacevolezza di alcune parti del mondo esterno e di usare la musica
per alterare la sua coscienza di ciò in modo da rendere il mondo
più sopportabile, aveva imparato a sopportarlo in tutto la sua
bruttezza dato che, dopotutto era soltanto la sua coscienza che dirigeva
il gioco, allora?
E cosa importa per esempio, suggerii a voce alta, se ai critici non
piacesse veramente Incantations? Se Hergest Ridge voleva provocare
rifiuto e Ommadawn riconciliazione, il fatto che il terzo album aveva
venduto più del secondo poteva significare che aveva avuto successo
nell'ottenere riconciliazione; cosa avrebbe dovuto fare Incantations?
- Ciò che mi riprometto è di esprimere totalmente
me stesso e di trasmetterlo in Incantations, cosa che ho ottenuto in
un paio di punti - l'assolo di flauto e l'assolo di vibrafono sul lato
quattro. Sono arrivato vicino come non mai all'espressione di me stesso.
Molte persone gli faranno resistenza, cosa della quale sono anche loro
respsonsabili. Se vogliono ascoltarla lo faranno. Sarà molto,
molto appagante il sentirla, ma se non lo faranno andrà bene
lo stesso. Ma qualunque cosa accada a Incantations sarà perfetta
per me. Ne sarò responsabile.
Parlammo
per un po’ dell'album, per quale motivo era doppio (apparentemente
perché si sentiva in colpa per non aver prodotto niente per tre
anni), la ragione per dedicare, tramite la cantante folk Maddy Prior,
un intero lato ad un canto, l'Hiawatha di Henry Woodsworth Longfellow,
fino a parlare degli echi di lavori precedenti, come il canto femminile
sulle percussioni di Jabula in Ommadawn che ricorreva ancora in questo
nuovo album.
- Devo spiegare, disse, che le parti più importanti sono
l'assolo di flauto e quello di vibrafono e l'assolo di chitarra che
segue quello di vibrafono. Il resto è un mucchio di spazzatura.
Veramente?
- E tutti i miei lavori sono stati un mucchio di spazzatura.
Secondo quali standard?
- Secondo il mio standard, quello di esprimere completamente
me stesso, piuttosto che esprimere le mie apprensioni, la mia felicità,
le mie delusioni, il mio orgoglio, ciò che pensavo di me stesso,
tutto questo genere di spazzatura.
Aspetta un momento. Se queste non sono le cose che fanno una persona,
se noi non siamo la somma totale delle nostre esperienze, ma qualcosa
sopra e sotto la vita che conduciamo, allora come si può dire
che abbiamo un'esistenza?
- Sono parte di me stesso, sono dentro di me, ma sono solo parti
trascurabili del meccanismo che mi conduce attraverso la vita. Va bene
esprimerle, ma io ho trovato un mezzo diretto per esprimermi come essere
umano. È una tua scelta se decidi di vedere le cose in questo
modo oppure no. Va bene, qualunque cosa tu pensi, ma io vedo me stesso
non come il mio corpo né come la mia mente, e sto esprimendo
questa essenza di me. Sono ancora carico di angosce, ma le porto come
bagagli, se vuoi. Non penso di essere le angosce. Se vuoi, io sono il
contesto nel quale sono contenute le angosce, piuttosto che essere le
angosce stesse.
Ma le angosce erano state la causa della realizzazione della sua musica
più bella - come ad esempio le nubi vorticose e i cipressi di
Van Gogh erano il prodotto della sua schizofrenia. O così, almeno,
avevo inteso dalle precedenti interviste.
- Le usavo come prova per supportare tutto ciò che facevo,
- replicò - ma qualunque cosa abbia fatto è
stata una scelta. Adesso sono arrivato alla conclusione che non esiste
niente che sia incidentale, nulla che sia un errore. Tutto ciò
che ho fatto, tutto ciò che faccio, tutto ciò che ottengo,
è stato totalmente ed esattamente ciò che ho voluto e
totalmente ed esattamente ciò che ho creato per me stesso.
Questa aveva tutta l'aria della miglior seduta alla quale partecipavo,
che prometteva allo stesso modo percezioni che erano impossibili da
spiegare ai non convertiti, che offriva anche immagini di limiti da
superare, dubbi da seminare. Stavamo parlando, mi pare, di Exegesis.
- Già. Cominciò alle nove del mattino e finì
circa alle undici o mezzanotte. Ascoltavi questo tizio che ti parlava
e compivi vari processi con un gruppo di circa 230 persone in un hotel
di Londra. Cominciava il giovedì sera e finiva la domenica. Consisteva
nella liberazione di tutte le tue angosce, che sperimentavi in pieno,
delle quali ti liberavi lungo la strada. Ti costringeva a distruggere
una gran parte di te stesso e tu opponevi un'incredibile resistenza
nel farlo, perché una gran parte di te doveva morire, letteralmente
morire. E dietro a questo c'eri tu, ciò che tu eri realmente.
Ne ho preso coscienza, ne ho assunto il controllo, non sono più
un passeggero.
Allora, chi guidava prima?
- La mia mente, le mie angosce mi guidavano. Le mie paure, i
problemi, i modelli d'educazione ripetitivi che manipolano le persone.
Tu sai che ero solito essere molto quieto e timido e questo non voleva
dire niente: era solo un esempio perfetto di manipolazione di una persona.
Bello!
Ma, e se il suo lavoro più grande è stato prodotto dalle
sue angosce?
- È impossibile. Perché le angosce sono cose del
tutto meccaniche. Tu fai delle esperienze quando sei giovane, anche
quando sei vecchio, e le registri come un nastro. Sono cose del tutto
meccaniche e una cosa meccanica non può creare niente, può
solo prendere decisioni. Come se tu avessi questa serie di motivi a
favore e questa serie di motivi contro e questo potesse funzionare automaticamente
come una macchina. Le cose che provengono da me, come un essere, come
un'entità, sono soltanto creazioni. Non provengono da niente,
sono libere scelte, non sono cose come le angosce.
Non devo fare niente al momento, veramente. E non m'importa se tu mi
credi oppure no, non ho bisogno dell'approvazione di nessuno. Sto scegliendo
di far funzionare questa cosa per me stesso, che non devo farla componendo
musica e andando per la strada (ndt: a spiegarlo a qualcuno).
Scelgo di farlo. Altrimenti non c'è ragione di essere
vivo. Sarei contento anche di morire, lo sai? Non c'è bisogno
di ammalarsi, anche se un sacco di gente pensa di doversi ammalare per
morire. Non ce n'è bisogno, basta che smettere di giocare.
Giocare?
- Sì, il gioco che tutti stiamo giocando.
La musica?
- Tutto.
Il definirlo un gioco significa che è poco importante?
- No, no, no, no, no. Altrimenti noi non avremmo scelto di essere
vivi, giusto? È un bel gioco. Vedi, il gioco al quale sto giocando
adesso, è il gioco più grande al quale puoi mai giocare,
ovvero il gioco di non giocare ad alcun gioco, essendo del tutto onesto.
È divertente non giocare ad alcun gioco, non aver nulla da difendere.
Anche questo è un gioco.
Se Incantations non fosse un successo, di critica e/o di vendita, continuerebbe
a ritenerlo perfetto?
- Certo!
Gli dispicerebbe?
- No!
E la sua vecchia lamentela, secondo la quale il rilasciare interviste
equivaleva ad una violenza?
- Era uno scherzo. Mi sono divertito molto.
Il che fa pensare che anche il suo attuale atteggiamento potrebbe essere
uno scherzo.
- Sto solo giocando ad un gioco diverso. Lo scherzo è
più grande perché è più grande il gioco
al quale sto giocando. La sola cosa che non è uno scherzo è
chiudersi e la piena espressione di sé. Ma in un certo qual modo,
il chiudersi è espressione di sé. Se fossimo seduti da
soli insieme, guardandoci a vicenda, vorremmo chiuderci, ma vorremmo
anche cominciare ad esprimere noi stessi l'uno verso l'altro.
Come il nostro gioco di farci abbassare gli occhi a vicenda; certamente
lui allora aveva espresso se stesso e io non ero sicuro che allora mi
piacesse la persona che sembrava essere.
- Quando il tour sarà finito tornerò di nuovo
in studio. Ma non è più una necessità.
Ma quello non era molto diverso dal vecchio Mike Oldfield, quindi quanto
era veramente cambiato?
- Per nulla!
KARL
DALLAS
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