Gli incantesimi di Mike Oldfield
Un incantesimo lungo quarant’anni. Nel 1978 usciva “Incantations”, quarto album dell’eclettico musicista inglese Mike Oldfield. Un lavoro definito monumentale, per certi tratti addirittura più solenne di “Karn Evil”, la suite di Emerson, Lake and Palmer che occupa gran parte del capolavoro “Brain salad surgery” di cui questa rubrica si è da poco occupata, ma anche di “Tales from topographic oceans”, album degli Yes accusato (ingiustamente secondo il parere dell’autore di questo pezzetto) di una magniloquenza eccessiva.
Comunque, “Incantations” è un discone che tiene vivo il rock progressive che, specialmente nel Regno Unito, in quegli anni aveva ormai issato la bandiera bianca. Il suo problema, semmai, è essere arrivato dopo le opere più amate dell’autore: “Tubular bells”, disco d’esordio di Oldfield del ’73, “Hergest ridge” (1974) e “Ommadawn”, altro capolavoro del ’75, di cui recentemente è uscito un seguito piuttosto criticato, ma che resta l’ennesimo esperimento interessante di Oldfield. “Incantations”, incantesimi, è un disco magico, fin dal nome, che richiama temi carissimi al pubblico del prog. E’ diviso in quattro parti in cui Oldfield alterna musica e testi (tra cui il poema epico “The song of Hiawatha” di Henry Wadsworth Longfellow dedicato al leggendario capo Mohawk nel 1855 e “Cynthia’s revels”, lavoro teatrale scritto da Ben Jonson nel 1599).
Le atmosfere della parte 1 e della 2 sono bucoliche, grazie anche ai flauti e alle voci del Queens College Girls Choir che ripetono ossessivamente “Diana, Luna, Lucina, Lumen”, riuscito omaggio alla mitologia romana. La seconda parte è invece dominata dalla figura del capo nativo americano. Oldfield sostituisce qui e là qualche parola ma i due estratti che usa (“Hiawatha’s departure” e “The son of the evening star”) potrebbero spingere addirittura un ascoltatore curioso ad approfondire l’opera di Longfellow.
La terza parte è gioiosa e trionfante, specialmente i primi minuti sono irresistibili, mentre l’ultima è caratterizzata dall’omaggio a Jonson e, a detta di alcuni, è quella di minore impatto. “Incantations” è dunque solenne, imponente e monumentale. E conserva ancora un fascino irripetibile. Di lì a poco, infatti, Oldfield dirigerà la vela verso altre rive, pur continuando a produrre buona musica. Rive più commerciali.
Articolo di Michele Ceparano su Gazzetta di Parma del 28 aprile 2018
https://www.gazzettadiparma.it/news/musica-news/510044/gli-incantesimi-di-mike-oldfield.html